L’Onorevole, le tangenti e le leggi di House of Cards alla veneta

L’Onorevole è in macchina, come sempre. Non ricorda nemmeno più da quanto quel Suv, o meglio l’antenato del Suv di oggi, è diventato la sua casa itinerante, e Giacomo, l’autista, il suo compagno di vita. Fatto sta che sono lì, tutti e due, da anni, chiusi nell’abitacolo, uno davanti e l’altro dietro, a correre di qua e di là, sfrecciare lungo le strade del Veneto, dribblando rotonde e caselli e svincoli maledetti che in gran parte hanno fatto costruire loro, perché quando si parla del carrozzone della politica, pochi sanno che è proprio un carrozzone vero, e si sposta ogni minuto percorrendo centinaia di chilometri, fra autostrade, statali, comunali, sentieri e viottoli, per raggiungere, specie in campagna elettorale, ogni sperduto paesino, ogni cascinale quasi abbandonato, ogni parrocchia e centro civico sperduto in mezzo ai campi e alla nebbia, o arrampicato sulle rocce montane.

Conosce ogni centimetro del suo collegio, l’Onorevole, e lo presidia come i feudatari un tempo presidiavano i loro castelli ed i loro campi: come loro ha una rete infinita di valvassini e valvassori a lui fedeli e legati da patti di sangue, che controllano in sua vece, pattugliano i confini, segnalano quando i vicini possono tentare un’incursione ed ancor meglio quando si indeboliscono e l’incursione può allora venir tentata ai loro danni, perché se è vera la vecchia massima che la guerra è la politica continuata con altri mezzi, è pur vero anche il contrario, e cioè che la politica è guerra, sempre.

Ed è lì, dal suo Suv, che l’Onorevole pianifica campagne e ordisce aggressioni, perché quella macchina è la tenda di Alessandro Magno, il bunker di Hitler, il suo Studio Ovale, la centrale operativa del suo potere ed il punto di inizio del suo personale Big Bang.

Uno squillo.

«Allora?» chiede l’Onorevole, senza nemmeno perdere tempo in un saluto.

«Arrestato, questa mattina.» conferma dall’altro capo il suo interlocutore.

«Cazzo. – sibila l’Onorevole, che in pubblico è uno dei pochi a non dire parolacce mai, ma qui è in privato, e poi Giacomo è di famiglia, anzi fa parte dell’arredamento, come una poltrona – E ****?»

«Ha ricevuto l’avviso di garanzia. Pare che lo sentiranno domani.»

«E ****** invece?»

L’interlocutore fa una impercettibile pausa come se cercasse le parole più adatte: «E’ all’estero. Irreperibile.» sceglie di dire poi.

L’Onorevole sospira, poi reclina la testa sul sedile, allungando il collo e la schiena in quello che il suo fisiatra gli ha spiegato essere un esercizio di stretching per eliminare la tensione. Ma non la elimina, perché se il corpo si rilassa la mente gira, gira, gira, ad una velocità incredibile, si è aperta a valutare il mare di possibilità e calcolarne le implicazioni e i probabili vantaggi, fa bilanci di costi e benefici, ipotizza scenari presenti e futuri e ricadute a strascico. Il corpo è lì nell’abitacolo della macchina, con gli occhi chiusi; ma in realtà nella testa dell’Onorevole si stanno spalancando mondi e dimensioni parallele prima chiuse, sui cui lui vola e plana come un uccello da preda: vede bastioni considerati imprendibili che ora si stanno sgretolando e franano, collassano su se stessi, e lui, come i capi barbari alla caduta dell’impero romano, è lì, l’ascia in mano, a decidere come approfittare del disastro per erigere il suo regno.

«Potremmo uscire con una dichiarazione di attacco.» suggerisce il Portavoce.

L’Onorevole viene improvvisamente risucchiato nel mondo reale, strappato al suo sogno: «No – risponde – per ora stiamo zitti.»

«Ma è il momento di attaccare! Possiamo sparare a zero, tanto in quegli appalti non c’entriamo, siamo pulitissimi, anche perché ci hanno sempre tenuto fuori da quella torta…» fa il Portavoce, sconcertato.

«Appunto. – sbuffa l’Onorevole, scocciato perché anche ai migliori del suo staff, alla fin fine, bisogna spiegare tutto, come ai bambini – Ci hanno tenuto fuori da quella torta perché era troppo grossa per noi. Se adesso li attacco, faccio sapere a tutti che non contavo nulla e non mi consideravano all’altezza. Se stiamo zitti, lasciamo intendere che ci eravamo dentro anche noi, ma che siamo stati tanto furbi da non farci beccare. Il che vuol dire che, passata la buriana, quando gli altri saranno ancora impelagati con i tribunali, chi ha bisogno verrà da me.»

«Ci accreditiamo come referenti…» ripete il portavoce, folgorato da tanta genialità.

«Certo, senza colpo ferire. E facendo pure la figura di chi non colpisce amici e nemici in difficoltà. Il che ci torna buono sia nel partito sia con l’opposizione. Tutti crediti da riscuotere, un domani.»

«E gli elettori?»

«Siamo in Italia. Gli elettori amano i furbi. Degli onesti non gliene fotte un cazzo.»

«Allora stiamo zitti?»

«Zitti.»

«E se i giornalisti mi chiedono una dichiarazione?»

«Gli dici che io oggi sono in visita all’eremo dei frati di S.Romualdo e poi partecipo ad una seduta del mio Comitato per la Difesa della Vita assieme al Vescovo. Non l’hanno indagato il Vescovo, no?»

Il Portavoce ridacchia: «Non ancora.»

«Ecco, allora sottolinea assieme al Vescovo. E non mi chiamare più, a meno che non arrestino anche il Papa.»

Chiude il cellulare. Chiude gli occhi. Ritorna a sognare il suo mare di possibilità nuove ed aperte davanti a lui. Come Attila di fronte alla pianura ed all’Impero Romano. E’ bello sentirsi un barbaro, ogni tanto.

E’ un racconto di fantasia, non si riferisce a scandali, tangenti, o politici realmente esistenti e non copia la realtà. La realtà è notoriamente peggio.

6 Comments

  1. Quello che c’è di sottile autolesionismo in questo racconto è l’idea che in altri posti del mondo (amministrati con i più variegati sistemi democratici e dittatoriali) non avvenga lo stesso, e basterebbe pensare alle bande che formano il Partito Comunista Cinese e alla coppia Clinton che, per arricchirsi, ha smantellato il sistema di separazione fra banche d’affari e banche ordinarie mettendo le basi per una crisi finanziaria che, checché ne dicano, non è finita e potrebbe, prima o poi, presentarsi in forma ancora più virulenta.
    Ció premesso, perché in altri posti del mondo, mediamente, le cose funzionano meglio?
    La ragione è nella nostra struttura piramidale della Pubblica Amministrazione dove tutto è gestito dal centro e dove tutti le tasse le prende e le distribuisce il centro.
    Se come in altri posti gli insegnanti, i bidelli, i poliziotti, le scuole e i pompieri fossero gestiti con soldi locali, allora l’onorevole avrebbe voglia di correre per la campagna veneta o quella laziale: avrebbe poco da offrire come posti e appalti o promettere 80 euro senza copertura, perché poi, i soldi da dare in più al bidello o all’usciere, li dovrebbe cacciare il cittadino che direttamente riceve quel servizio.
    In fondo la Lega aveva ragione, poi si è persa nel razzismo e si è dimenticata del localismo fiscale e amministrativo, cosí tutto è rimasto al centro dove si gestiscono grandi soldi che, tra parentesi, non ci sono, visto che lo stato non paga i fornitori, non rimborsa le imposte e fa pure debiti con la pala.

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  2. @–>Gala
    Altro che racconto di fantasia. E’ più reale del re.

    @–>Cannedcat
    “l’idea che in altri posti del mondo (amministrati con i più variegati sistemi democratici e dittatoriali) non avvenga lo stesso”
    Certo, avvengono, ma con scale differenti a seconda della fascia di appartenenza del paese nella classifica mondiale:
    1. in paesi dell’ultimo mondo, tipo Africa e America Latina o nelle ex- repubbliche sovietiche, come da noi e (consoliamoci) anche peggio;
    2. in paesi come la Cina et similia, quando li beccano li fucilano;
    3. in paesi come gli Stati Uniti, quando li beccano li mettono in galera e buttano via la chiave; quando escono, se mai escono, sono additati al pubblico disprezzo e non considerati alla stregua di eroi, come in Italia (vedi Cirino Pomicino, De Mita, Mancini, Mastella e tanti altri, riveriti e rispettati nonostante tutto quello che hanno fatto solo perché portatori di centinaia di migliaia di consensi elettorali);
    4. nei paesi del Nord Europa, a partire dalla Svizzera, se solo c’è il sospetto che un politico possa approfittare della sua posizione per arricchirsi a discapito della comunità, viene emarginato quasi fosse un lebbroso, non certo messo alla Presidenza del Consiglio.
    Last but not least, ricordo il caso di ministri che hanno dovuto rassegnare le dimissioni seduta stante solo per il fatto di essersi fatti ridipingere casa scaricando le spese sul loro ufficio. Da noi, per evitare l’inconveniente, ci si fa regalare direttamente tutto l’appartamento perfettamente ridipinto.

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  3. La realtà purtroppo supera di gran lunga la peggiore delle fantasie. Lo disse anche Antonio Albanese durante la promozione del suo film “Qualunquemente”. Lui e i coautori credevano di aver scritto una sceneggiatura paradossale, invece, un anno e mezzo dopo, quando il film uscì, la realtà era molto peggio.
    @ lector-> Concordo appieno.

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  4. A proposito.
    Ho perso tutta questa mattina in ufficio per ricercare, tra i 749 commi dell’unico articolo della legge di Stabilità 2014, quello che prorogava per l’ennesima volta una disposizione introdotta nel 2001.
    Poi ci chiediamo perché le imprese italiane migrano all’estero e gli investimenti esteri in Italia si sono dimezzati rispetto al 2007.
    L’efficienza di un paese di vede anche e soprattutto nelle piccole cose.
    Non si può più andare avanti così, signora mia.

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  5. @lector sono più o meno d’accordo su quello che hai scritto e sul trattamento dei corrotti. Quello che non viene sottolineato di solito è come pescano i corrotti.
    Da noi lo fanno a fatica i magistrati, usando leggi dalla faccia feroce e dai piedi d’argilla, dove basta un soffio per far crollare tutto. Ma è corretto tutto questo?

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  6. @–>Newwhitebear

    In realtà, con gli strumenti oggi a disposizione dei controllori, pescarli sarebbe molto più semplice di quel che si pensa. Il tenore di vita di certi personaggi è a dir poco sibaritico e certamente sproporzionato ai loro seppur enormi introiti ufficiali. Di quelli arrestati per il Mose, ad esempio, a Venezia lo si sapeva perfettamente quale fosse la loro maniera di gestire le cose e i fiumi di danaro che scorrevano nelle loro mani e che vi restavano impigliati come in una rete a strascico. Ciò che meraviglia, infatti, non è che siano finiti sotto inchiesta, ma il tempo che c’è voluto perché li beccassero.
    Purtroppo, se poi si scopre che molti dei preposti alla sorveglianza sono a loro volta in odore di corruzione, si comprende che in Italia, invero, le speranze di fare una ragionevole pulizia del malaffare, sono realisticamente alquanto remote.
    Ciò che dovrebbe cambiare è la mentalità diffusa della gente. Citando Galatea, «Siamo in Italia. Gli elettori amano i furbi. Degli onesti non gliene fotte un cazzo.».
    Infatti, come dico sempre, i politici non sono altro che un campione casuale assai significativo della struttura antropologica di questo paese.
    Guardandoli è come se ci osservassimo allo specchio. Se ciò che vediamo non ci piace, inutile prendersela con lo specchio.

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