Il panico

Sono una di quelle che sommessamente, senza darlo a vedere, si fa prendere dal panico.

Ogni volta, ogni santa volta che deve fare qualcosa di nuovo. Anche piccina picciò, tipo un nuovo autobus, una strada che non ha mai fatto. Quando mi propongono qualcosa di nuovo, sono entusiasta, dico di sì, sorrido, mi butto. Poi, man mano che la data si avvicina, che la scadenza si appresta, monta l’ansia, quel disagio indefinibile, quell’insofferenza molesta che piglia a tradimento, e per giunta è bastarda, perché apparentemente si fissa su cose che non c’entrano nulla, per cui sbraito  per il parcheggio che non si trova, o il vestito che si è macchiato per sbaglio appena indossato, ma non sono quelle le cose che mi fanno saltare i nervi, no: è il sottile malessere di non sapere come tornare indietro a fare una cosa che non sai se sai fare, e anche se lo sai non ti senti pronta, e anche se ti senti pronta no, non va.

La vita è questo pendolare continuo fra le cose che so fare e mi annoiano, e quelle che non ho mai provato a fare, e mi spaventano. Fra la voglia di mettersi in gioco e quella di rimanere al sicuro, fra il certo e l’incerto, il vecchio e il nuovo. Non sei contenta in un caso, perché ogni sfida accettata significa giorni di rantoli sordi e rigurgiti di malumore, e mal di stomaco latente, e umor nero che gronda spalmandosi su tutto. Non sei contenta nell’altro, perché a dire di no ti senti vigliacca, e poi anche stupida, perché qualcosa nella testa ti dice che ce la faresti, e anche bene, ed è solo fifa, e tu dalla fifa non accetti di farti comandare.

E allora fai, lottando contro te stessa, contro tutte quelle maledette astuzie e sabotaggi che metti in atto da sola per farti fallire, perché nessun nemico è tanto tignoso come quello che ci portiamo dentro. E mentre schivi gli sgambetti che ti fai, ti domandi se poi ne valga la pena di condannarti a questo sforzo immane, a questa guerra senza pause e confini. Se quella storia di mettersi alla prova per vincere i propri limiti sia proprio vera o non sia un’altra delle infinite strategie masochiste che ci inventiamo per non stare bene.

Forse la vita è questa cosa qui, una guerriglia infinita fra l’ansia e la noia, con i rari momenti di pausa in cui riesci a mandare per un attimo tutti affanculo. Ma è un momento, perché poi anche l’affanculo non dà soddisfazioni durature: passato il minuto in cui ti pare la soluzione, ti ritrovi al punto di partenza.

E quindi niente, bisognerebbe trovare una conclusione a questo post. Ma non c’è. È un loop in cui si ricade. Che la vista è questa cosa qua, e non ci si può che stare dentro.

7 Comments

  1. Io voto per il fare, per il lanciarti e affrontare le sfide: imparando magari a dialogare con il tuo io interiore, scendere a patti e seppellire l’ascia di guerra.

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  2. ti leggo sempre com interesse, scrivi con una profondità sincera che mi piace

    forse la tua vera natura biologica è la pigrizia senza se e senza ma, però essa confligge con la componente indotta dalla cultura, dal linguaggio che lacanianamente ci plasma, che solitamente plaude a chi prende iniziative

    sei una donna (anche di piacevole aspetto) e ci si dimentica a volte che l’esser femmine significa una biologia più complessa, crudelmente plasmata dall’evoluzione all’evento riproduttivo, e quindi ad una corporeità biopoietica potente

    ma l’esser parte della comunità umana nel cuore d’una civiltà raffinata che crea soggettività culturali potenti e coinvolgenti comporta una percezione del sè assai divaricata rispetto a quella più arcaica e biologica, ed esser per giunta un’intellettuale di non banale penna e studi di ottimo livello allarga questa inesorabile lacerazione

    insomma, soffre chi è intelligente, anche se, verso la fine del giro di giostra, interverrà una leggerezza nuova, ma non sei abbastanza vecchia per questo

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  3. diciamo, buon giovannifrancesco ecc., che tutti noi siamo generatori automatici, giacchè la scaturigine palese del discorso non è che il risultato dei meccanismi del tutto inconsci della rielaborazione, sotto la spinta emotiva, delle informazioni intrinseche ai dendriti sinaptici

    nulla siamo, l’apparenza è la sostanza

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  4. G. I. Gurdjieff, filosofo armeno mai veramente importato nelle nostre scuole, sosteneva che la “consapevolezza”, di sé e della vita, fosse l’unico vero motore per compiere nuove esperienze senza paura.
    Diverse volte mi sono trovato a dargli ragione… ma se fosse ancora vivo, personalmente, avrei fame di porre lui una domanda: vivere a duecento all’ora, senza guardarsi indietro mai, è un progetto così scadente?
    Prometto di lavorare bene sulla formazione e sulla consapevolezza… ma devo andare forte. Se mi fermo, mi perdo,
    Complimenti per il blog, ti ho trovata per caso e ti ho messa nei preferiti.
    Marco Fratta

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