I libri, il caso e la vita: le Memorie di Adriano

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Un caso. A volte capita così, nella vita. Svolti un angolo e, alzando gli occhi, incroci un cartellone che non ti sei mai soffermato a leggere prima; sfogli il giornale e ti colpisce un trafiletto nascosto a piè di pagina. Oppure, come capitò a me: durante la lezione di greco, l’insegnante citò, di fretta, un titolo: “Ah, sì, se vi interessa, su questo potete leggere Le memorie di Adriano.” Così, en passant. Non mi ricordo manco di che parlasse. Non ci disse nemmeno l’autore. Le memorie di Adriano e basta, tiè.

Avevo quindici anni. A quell’età, quando un professore ti consiglia un libro non lo leggi. Per principio. Magari fai finta: lo compri diligentemente, dai una scorsa alla quinta di copertina, impari giusto quelle quattro acche che se proprio te lo chiede all’interrogazione puoi far bella figura e ciao. È una questione di principio e di orgoglio: fino ai vent’anni i professori non possono insegnarti nulla della vita e della letteratura, perché sono robe che devi scoprire da te.

Poi a me gli antichi non piacevano. I Greci e i Romani, voglio dire. Soprattutto i Greci, per dirla ancora meglio. Quelli che parlavano Greco, a voler essere ancora ancora più precisi. Erano due anni che ci smadonnavo al Ginnasio, con quella maledetta linguaccia. Fetente come poche. Scritta pure in un alfabeto tutto suo. Con dei verbi che Dio me ne liberi non ce n’era uno che si coniugasse come t’aspettavi si dovesse coniugare. Con quelle parole che si declinavano alla come gli pare e piace, le attiche a genitivi per conto loro, le doriche pure, le altre boh.

Insomma, non mi ricordo nemmeno perché lo comprai, quel benedetto libro: non era in programma, non mi interessava particolarmente. Lo vidi per caso sullo scaffale della libreria, un paio di giorni dopo che me l’aveva nominato la professoressa a lezione. E siccome si era sotto Natale, lo misi nel mucchio di quelli che avevo preso, con la ferma intenzione di non aprirlo mai. Tanto la mia strada era già decisa: finire il classico senza troppa infamia il più presto possibile, e andare in una facoltà in cui di Greco e di Latino non ci fosse nemmeno l’ombra.

Invece lo aprii. Curiosità. Forse semplice noia: uno di quei pomeriggi d’inverno lunghi che nascono già bui come sere. Lessi: “Mio caro Marco, sono stato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in villa da un lungo viaggio in Asia”.

Ma ci può essere un incipit più stupido o più banale? Un vecchio antico che si lagna dei suoi acciacchi senili: la quintessenza della noia. Eppure. Eppure capitò uno di quei sortilegi che solo i libri sanno fare. Non avevo nemmeno finito di pensare: “Che palle!” – di pensarlo convintamente, come direbbe Cetto la Qualunque – che c’ero già dentro e non sapevo uscirne fuori. Le frasi erano una specie di cantilena ipnotica, scivolavano via una in fila all’altra come i grani di un rosario nella mano di una esperta beghina, gli anelli di una catena che non si può spezzare. E ad ogni anello si apriva un mondo. Le stanze della villa imperiale. La Roma dei marmi policromi e delle regge sontuose. La curia, i palazzi, i conviti. Ma anche le pianure sconfinate degli ultimi confini al limite del nulla: gli avamposti dell’esercito, le selve, le truppe, i cavalli, le marce forzate, i cunicoli, le catacombe, le iniziazioni tribali di religioni violente e salvifiche. Il calore denso del deserto che ti toglie il respiro col suo vento di sabbia. L’immensità del niente al Nord, in cui l’orizzonte grigio della steppa si disperde nel vuoto. E Adriano.

Dio mio, come ci si fa a non innamorarsi di Adriano? Non è possibile, non è dato. Ti prende, ti seduce, come tutti i veri seduttori, perché non fa nulla per farlo. Adriano che è tutto, militare, imperatore, decisionista; e poi architetto, amante, esteta. Che racconta e si racconta, essendo contraddittorio e complesso, ma non complicato. Adriano che riesce a reggersi come personaggio su quel delicato, fragile equilibrio che riusciva a reggere l’impero: praticità e spinta verso l’eterno, sogno e vita reale, animula vagula blandula e comandante in capo, inquietudine sottile e spietato pragmatismo nell’applicare ciò che serve e nel fare ciò che si deve.

Tu le leggi, le Memorie, e li capisci, gli antichi. I Romani e i Greci. Finalmente. È come se ti regalassero la chiave. Ti si squadernano davanti, come l’empireo di fronte a Dante non appena S. Bernardo s’offre come guida. Li capisci con la loro filosofia e la loro corruzione, la sottigliezza, le vanità, la razionalità estrema e i difetti. Non puoi fare a meno di seguire Adriano, perché è lui che ti prende per mano e ti porta nei labirinti dei loro alti pensieri, nelle miserie delle loro piccole meschinità, nelle passioni e nei capricci: è il cronista e l’interprete di una civiltà che si sente al suo apice ma è troppo intelligente per non sapere che, un passo ancora, comincerà il declino; sa però che quel declino, persino quello, è la strada obbligata che ogni civiltà deve percorrere, fino alla fine, perché il destino è un gorgo che ti risucchia sempre, ma non è già giocoforza che, pur secondando il gorgo, non ci si possa profondare con una certa qual forma di dignità pensosa e dolente, una consapevolezza che riscatta.

Dio, come ho amato Adriano. Così tanto da non voler neppure indagare se quello reale fosse in tutto e per tutto simile a quello della Yourcenar: ci sono illusioni che preferisci conservare intatte a dispetto di tutto ciò che normalmente credi.

Dio, come ho amato quel mondo sospeso in cui gli dei non c’erano già più e il Dio non ancora, e in cui tutto ciò che di meglio era stato pensato e scritto dagli uomini era stato pensato e scritto in Greco.

L’ho letto, riletto, e poi riletto ancora, le Memorie di Adriano: non sapevo staccarmene, non volevo mai trovarne la fine.

All’università ho scelto lettere classiche: non volevo fare altro. Forse non potevo.

Un caso, un incontro fortuito, un libro citato di sguincio, poi visto su uno scaffale e la tua strada è segnata, non può prendere altri percorsi: nella vita, a volte, funziona così.

18 Comments

  1. 😉

    P.S.: mi capitò la stessa cosa, ma con le “Lezioni di metodo storico” di Chabod: personalmente, sono più portato per la saggistica.
    Stessa età, anche se di qualche lustro antecedente a te.
    Poi, però, all’università, ho scelto tutt’altra cosa e della passione giovanile, oggi, non è rimasto nulla di più che un hobby.

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  2. eh….non si può non amarle, anche per me furono un’esperienza positivamente sconvolgente e anch’io le ho rilette varie volte. La storia purtroppo è solo una passione per me, ma la Yourcenar mi ha insegnato che la ricerca e la narrazione dello spirito del tempo è altrettanto importante della storia scientifica. Con il vantaggio di poter mettere più in relazione il passato con il presente.
    Mi risulta che le Memorie siano un long seller, fortunatamente 🙂

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  3. Eccomi, folgorata da Zenone sulla via di Gand. E dunque filosofia, non poteva essere altro.
    Marguerite Yourcenar ha mietuto più vittime della peste nera.

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  4. Dopo l’ inizio stavo per pregarti di consigliare “Tre metri sopra il cielo”, ma a metà post ho cambiato idea 🙂

    @Azalais:
    pure tu a Gand?

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  5. Grazie come sempre.
    Mi hai definitivamente convinto di due cose delle quali ero ormai quasi certo: che sono i libri che scelgono noi e non viceversa e che questo sia un libro da leggere. Ora devo solo aspettare che mi scelga 🙂

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  6. Non l’ho ancora letto, ma lo farò!
    Altri libri mi hanno scelta e non potevo andare con loro, sarei diventata una sbiellata 😉

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  7. a me fece lo stesso effetto, ma ero già all’università e fu una pausa meravigliosa in mezzo a esami molto tecnici. ogni tanto lo rileggo e una volta me lo sono portato dietro a villa adriana a tivoli e me ne sono letta dei pezzi lì, seduta tra le rovine 🙂

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  8. bellissimo libro, l’ho letto in tempi relativamente recenti e mi ha conquistato, merito anche di una scrittura dotata di una logica non comune.
    Ma, come hai detto, stupisce soprattutto la sensazione di immersione nel mondo antico, la confidenza che si acquisisce: per questo lo associo ad un altro libro molto diverso, “le nozze di cadmo e armonia”, dove i frammenti dell’antichità sono ricomposti in una visione d’assieme magmatica e ambigua, ma ugualmente coerente e convincente.
    (per inciso, sarei curioso di sapere il tuo parere sul libro di Calasso).

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  9. A questo punto non so più se è il caso di dirti che è da tempo nell’aria un film tratto da questo libro… il regista sarà John Boorman (Excalibur), che si è occupato anche dell’adattamento del testo per la sceneggiatura. In teoria è annunciato per il 2010, ma su IMDb non c’è traccia di cast o notizie più corpose, ed è segnalato come in pre-production da troppo tempo. Quando fanno un film su un libro tanto importante credo sia giusto provare una certa ansia, io almeno un po’ ne ho. Vabbè, togli un po’.

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  10. mmm.. io l’ho finito ieri e domani ho un tema su ‘sto cavolo di libro.. e ti giuro che avrei voluto con tutto il cuore che accedesso anche a me di “innamorarmi” di adriano.. ma non ci sono riuscita.. l’ho letto passivamente …non ho tento la mente aperta agli spunti che mi offriva.. un pò per fretta e un pò perchè ero obbligata a leggerlo..
    oggi stranamente ho il pomeriggio libero da compiti e dopo aver letto la tua riflessione mi sa che invece di cercare inutili riassunti su internet me lo vado a rileggere…sperando che il miracolo avvenga..
    ciao!!
    e grazie!!

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