Ladri di minuti. Ovvero, come un treno in ritardo ti ruba la vita.

treno

Già era una giornata di quelle che lèvati, Di quelle che quando apri l’occhio, lo senti subito che sarebbe meglio richiuderlo, svelto svelto, e aspettare tempi migliori. Piove da giorni, il cielo ne promette tanta ancora, i campi, quei pochi rimasti ancora campi, sono ridotti a paludo, così imparano a non farsi urbanizzare anche loro come tutto il resto del Veneto, ohibò. La prima notizia della mattina è che il Pdl vince in Abruzzo, col Pd in rotta; e anche se sai che se la son meritata tutta ed è anche poca, basta solo questo a farti capire come gira la giornata ed il mondo. Arrivare alla stazione è un calvario, fra stradine viscide e colonna di macchine a passo d’uomo; un amico “foresto” venuto a trovarmi giorni fa è rimasto basito nella nostra viabilità folle: “Cazzo, ma qui è un delirio!” ha commentato mentre lo facevo svarigolare per le nostre arterie, che sono ex stradine interpoderali asfaltate, e, ormai, neppure asfaltate di fresco.

Arrivata alla stazione sotto la pioggia sferzante, m’accorgo che c’è qualcosa che non va: nel tabellone, infatti, non è citato il mio treno. Cazzo, e dove se lo sono nascosto? Sono cinque anni che lo prendo, quando entro alle 10 a scuola, e pur con i suoi mille ritardi, è sempre lì, almeno segnato sul monitor: 8.34, regionale numero tale, binario uno. Invece non c’è, non c’è proprio. L’unico treno in cartellone – sì, in cartellone, come una prima chic che se la perdi sei fritto – è uno delle 9.19. Fisso l’orario basita. 9.19? Non c’è mai stato un treno alle 9.19: ce n’era uno alle 9.05, un po’ risicato ma giusto giusto abbordabile per entrare ancora in orario alle 10 in classe. Mi guardo attorno, non c’è un cane, perché è una stazione nuova, nuovissima, ma senza personale, e nessuno si è preso la briga di appendere un cartello di spiegazione nella bacheca, dove l’orario è ancora quello in vigore fino alla settimana scorsa, e comprendente il mio treno, che non c’è più. I minuti passano fra scrosci di pioggia e vento che sferza, interrotti di tanto in tanto da qualche altro viaggiatore, che si avvicina e chiede se so niente, e io scuoto la testa per dire che no, non lo so.

Alle 9.19 il treno non arriva. Lungo il marciapiede echeggia sì un annuncio, ma è la voce suadente di un tizio molto british; dice in perfetto stile oxfordiano che non si possono aprire le porte dei treni mentre sono ancora in corsa. A parte il fatto che nessuno in stazione capisce una mazza di quello che sibila nella lingua d’Albione, tanto è perfetto l’accento, non c’è comunque nessun treno in corsa a cui aprire le porte, anzi, non ce n’è neppure uno fermo per potergliele debitamente aprire e salirci.

Alle 9.25 il treno si materializza, senza che nessuno lo abbia annunciato, tanto che noi viaggiatori ci guardiamo tutti un po’ perplessi: sarà lui, non sarà lui? Be’, va nella direzione giusta, tanto vale montare, ed entriamo così nel caldo sahariano di uno scompartimento già passabilmente lordo di cartacce, barattolini di yogurt vuoti e altri ameni segni che indicano il passaggio recente di bipedi umani non troppo in confidenza con le regole del vivere civile.

Partiamo? Sì, partiamo, per fermarci poi dieci minuti abbondanti alla stazione successiva, in mezzo al nulla. Il perché un mistero meglio custodito di quello di Fatima, dato che sul treno non c’è manco un Socci con qualche indiscrezione: si sta fermi finché si riparte, questa l’unica certezza. Fuori il mondo piove, piove giù a catini, i fossi di fianco alle rotaie rigurgitano acqua a pochi centimetri dalle traversine, e io che sono lì, appiccicata al finestrino, non posso far altro se non incrociare le dita e sperare che non si allaghi tutto, o anche l’ultima speranza di arrivare in tempo mi farebbe ciao ciao con la manina.

Quando giungo finalmente a destinazione, sono trafelata, ma approfitto ancora di un minuto, perché ho avvertito tramite cellulare la bidella che sono in spaventoso ritardo: persa per persa, tanto vale fermarsi allo sportello.

Ma avete cambiato gli orari?” chiedo.

Ieri.” è l’imbronciata risposta dell’omino e io ho capito che se la sarà sentita fare già un milione di volte, stamattina, ma se io sono la milionesima rompicoglioni non è colpa mia.

Posso avere un foglietto con gli orari nuovi?”

Non li abbiamo, non ce li hanno mandati.”

E io come faccio a sapere gli orari per l’una?”

Si arrangi con il cartellone.”

Sì, il cartellone. Per decifrarlo ci vuole un corso di cuneiforme. Che io avrei anche fatto, ma ora non ho il tempo di rinverdirlo, eppoi ho una classe di ragazzini che mi aspetta, ed un Preside presumibilmente infuriato. Quindi lascio perdere. Tanto, mi dico, il treno delle 13.05 mica lo avranno toccato, no? È quello che prendono una marea di studenti per tornare a casa, e mezzi docenti in forze nelle scuole del circondario, tanto che per salirci bisogna avere delle buone basi di lotta giapponese. Quindi corro via, verso il mio dovere di insegnante.

Quando alle 12.55 suona la campanella, so a memoria il mio rituale. Schiaffo i registri nell’armadietto, bypasso con un agile salto la guardiola dei bidelli, traverso il cortile a razzo, e poi mi fiondo a passo bersagliere verso la stazione. Ci metto sette minuti, cronometrati, che sono il mio allenamento fisso da cinque anni: ho ormai un fiato da campione e risparmio il corso di spinning in palestra. Arrivo alle 13.03 in stazione. Corro al binario, volteggiando graziosamente per le scale del sottopasso. E il treno non c’è. Cazzo, in ritardo? No, non c’è proprio. Leggendo il cartellone scopro infatti che il treno delle 13.05 è stato abolito: ora ce ne è uno solo, alle 13.36. Il treno delle 13.05 è stato infatti anticipato alle 12.47, cioè dieci minuti abbondanti prima della campanella di qualsiasi scuola. Riguardo il tabellone. Alzo gli occhi e vedo attorno a me i volti degli studenti e dei colleghi che sono arrivati trafelati quanto me in stazione, e che ora bivaccano fra gli schizzi di pioggia, senza saper bene che fare. Faccio un rapido conto. Partire alle 13.36 vuol dire arrivare a casa mia praticamente alle tre di pomeriggio, invece che alle due e qualcosa, come prima. Vuol dire, cioè, fregarsi un’ora buona, mangiare in ritardo, perdere tempo utile per passare a far le spese, mettere in ordine casa, aggiornare il blog, vivere. Stesso discorso, pure peggio, al mattino: il treno alle 9.19 non mi consente di arrivare in tempo, quindi devo prendere quello prima, che è alle 8.00: il che vuole dire doversi svegliare alle 6.45 anche gli unici due giorni in cui potevo dormire fino alle 7.30, e che consideravo il mio lusso personale, e poi stare a ciondolare un’ora a vuoto in sala professori (senza venir pagata, of course), in attesa di prendere servizio.

Non so chi sia stato il gran genio di Trenitalia che abbia combinato il nuovo orario. Me lo immagino, questo stratosferico manager, che sarà tutto fiero di sé, perché ha razionalizzato gli orari e tagliato i rami secchi. S’è dimenticato di guardare se i suoi orari razionalizzati erano più o meno compatibili con quelli delle scuole, ma questo è un particolare: tanto gli studenti e i professori gli abbonamenti li hanno già pagati, e poi non hanno alternative, per muoversi. Quindi, se il treno salta o è mezz’ora dopo, aspettano, i pezzenti. Se si intestardiscono a pendolare, i pendolari, su queste tratte da sfigati non è un problema suo: lui bada alle grandi sfide del futuro, mica a questi miseri viaggi fra paese e paesotto vicino. Sono rami secchi da poter tagliare o potare a sua discrezione, quelle tratte e quelle vite che reggono invece il loro fragile equilibrio su un treno che passa cinque minuti prima o dopo per incastrare il tempo di un parrucchiere o di una corsa all’ipermercato, un tè con le amiche o un pupo da recuperare all’asilo, e fondano su una manciata di secondi la qualità di un’esistenza, che può essere vivibile se l’orario regge, o trasformarsi in un vero inferno.

Mi sono seduta sulla panchina, e ho aspettato mezz’ora il treno, sotto la pioggia. Non mi sono mai sentita tanto infelice.

15 Comments

  1. Ecco le solite lamentele dei soliti statali fannulloni….ma quando imparerete ad essere ottimisti, a vedere il lato positivo delle cose, a fare progetti per il futuro…si il futuro, quello ottimizzato, standardizzato

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  2. Pendolare come te, anche se meno sfortunato con i nuovi orari.
    Alcuni misteri, comunque, rimangono: da domenica in stazione si sentono gli annunci “Da domenica 14 dicembre sono in vigori nuovi orari.” Perché farli adesso e non prima, così uno si prepara?

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  3. Non metto piede in una stazione da tanto tempo, ho letto il tuo postdopo aver ascoltato un servizio alla radio sulla Freccia Rossa delle ferrovie e ho pensato che va sempre un pò peggio.

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  4. Anche io ho delle crisi di infelicità tremende quando mi trovo ad avere a che fare con i soprusi sempre nuovi che le ferrovie sanno inventare. Anche io mi figuro questi manager fighetti che nei loro uffici con aria condizionata applicano manuali di marketing giocando con le vite delle persone, il loro tempo, la loro pazienza. E’ uno schifo, le ferrovie sono la perfetta immagina di un paese malato in cui lo scollamento tra la casta di chi tiene in mano le leve del potere (di qualunque tipo esse siano) e il resto della popolazione è sempre più grande.

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  5. Oh, voi numerosi sfigati, invece della panchina, sedetevi sui binari. In meno di una settimana vi riquagliano gli orari. Non piangetevi addosso, fatevi sentire!

    @ Visco
    Io ho l’email di Galatea, ma non l’ho nominata per nessun premio. Siamo pari?

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  6. A Milano per far posto alla operazione di marketing chiamato “Freccia rossa”, hanno tagliato molti treni locali e regionali dei pendolari che si sono talmente incazzati che ora ad essere tagliato, anzi spuntato, sara’ la Freccia.

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  7. Ricordo uno dei miei ultimi viaggi in treno, quattro o cinque anni fa : più di una volta mancò la luce nei vagoni. E spesso nelle gallerie. Io mi trovavo in uno scompartimento vuoto. Ed ogni volta che andavamo in una galleria, nel vagone risuonava un urlo cavernoso (il mio) che faceva “CIMOLIIIIIIIIIIIIIIIIIII !!!!!!!!! “

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  8. Mh. Mi spiace.
    Anche perchè quella serie di curve-ricurve interpoderali mascherate da strade, con l’espressione colorita a commento, mi suonano stranamente familiari…..anche senza navigatore.
    Inchino e baciamano

    ;-D

    Ghino La Ganga

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  9. Lungi da me l’idea di giustificare le FS (non se le meritano), ma l’informazione era stata data e anche le reazioni imbestialite di pendolari intervistati dal TG3 qualche giorno fa. C’è stato anche un incontro tra l’assessore regionale ai trasporti Chisso e i vertici di FS. L’assessore pare si sia parecchio arrabbiato, tanto che un dirigente intervistato si è scusato e ha promesso che avrebbero rivisto orari e tratte. La verità è che tolgono personale e treni alle tratte locali per poter sfruttare meglio (e con maggiore profitto) l’alta velocità, gli eurostar, gli intercity e tutti quei treni che rimangono una schifezza, ma che costano di più ai viaggiatori e fanno entraro denaro fresco e facile.
    Le FS incassano e i pendolari si incazzano: proprio come due binari paralleli.

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